Un giovane uomo a Teheran è sul punto di emigrare. Tra memorie sparse, conversazioni incompiute e giornate che scorrono lentamente, Amir si trova di fronte a una decisione che in realtà non ha ancora preso: andare o restare? L’unico oggetto dal quale non vuole separarsi è la sua bicicletta, compagna di viaggio per le strade della città e simbolo della sua esistenza. La data della partenza per raggiungere Tara, la fidanzata che ora vive in Italia, si avvicina. Intanto scopriamo che, anni prima, quella relazione lo trattenne da un viaggio familiare che finì in tragedia. Tara, per Amir, più di una compagna, rappresenta la vita che gli è stata concessa.
“Il film oscilla tra passato e presente: amicizie, ansie notturne e una città alla quale il protagonista è ancora legato. Daroon-e Amir è una pacata meditazione sulla distanza emotiva tra il rimanere e l’andarsene, non su ciò che è giusto o sbagliato, bensì su quello che rimane irrisolto. Affonda le sue radici nell’esperienza personale, ma si esprime anche attraverso un linguaggio cinematografico universale. Ritrae un giovane uomo alla deriva in una città piena di ricordi, di solitudini e trasformazioni silenziose. Sono attratto dalla poesia della vita ordinaria, dai ritmi soffusi delle strade, dai corpi in movimento e da quei momenti che sembrano tranquilli e in realtà sono carichi di emozioni. Anziché concentrarsi sulla trama e sul dialogo, il film esplora la presenza, lo spazio e la vulnerabilità umana. Ho voluto osservare la realtà senza giudicarla o renderla spettacolare, con uno sguardo paziente che si affida alla sensibilità del pubblico. Il mio approccio evita gli slogan o il rumore drammatico, cercando invece una chiarezza emotiva più profonda. Daroon-e Amir non riflette sul fenomeno della migrazione, sull’identità o sulla politica: è una storia umana di qualcuno che cerca di rimanere a galla. Se un film è onesto, anche nell’immobilismo, è possibile connettersi profondamente”.