La trentenne Azucena spia gli adolescenti di una casa famiglia. Cerca frammenti del proprio passato nei loro giochi e nel loro senso di fratellanza, spinta da un evento traumatico che ha segnato la sua adolescenza e l’ha lasciata sospesa nel tempo. Il suo interesse si concentra in particolare su Julio, un ragazzo di diciassette anni. I loro mondi sociali sono distanti ma le ferite, le risate e la scoperta reciproca li guidano in un percorso edipico che li conduce fino alle rocce di un vulcano. Lì, lontani da tutto, questi due personaggi, segnati dall’assenza, si trasformano in qualcos’altro.
“Sono attratta dal potere dell’ambiguità, da ciò che si muove sotto la superficie del racconto. Il sussulto nel braccio quando viene colpito il gomito, il viso che si scalda per l’ansia, la ferita infantile tradita da piccoli gesti. Voglio spingere i confini dell’intimità che abbiamo imparato ad accettare come normale. In Hiedra, cerco un desiderio disordinato, irrisolto. Esploro, senza paura, la tenerezza verso l’Altro: un neonato, un nonno, una madre, una figlia, una sorella. Cerco un’atmosfera silenziosa, un profumo particolare che persista. M’interessa raccontare storie a partire dal corpo, nella sua goffaggine. Lavoro con attori non professionisti che hanno un modo ipnotico di stare al mondo davanti alla macchina da presa. Azucena porta con sé la ferita brutale dell’abuso. È una creatura senza territorio, una ragazza congelata nel tempo che agisce da un punto di vista istintivo ed egoistico. Julio appartiene a un branco sopravvissuto all’abbandono. L’assenza del materno è presente nella sua rabbia, nel suo ruolo paterno con gli altri bambini. Provengono da mondi sociali molto diversi, e questa tensione è lasciata scoperta. Il viaggio verso il paesaggio vulcanico permette loro di allontanarsi dai parametri della normalità, quelli di cui non hanno in realtà mai fatto parte”.